Il vuoto: croce o delizia?
Tra i nodi cruciali della esperienza psichica della maggior parte di noi esseri umani, il concetto di vuoto ha impegnato molti studiosi della disciplina psicologica e filosofica. Il vuoto si presenta a noi in mille forme, ma quasi sempre presentandoci un conto amaro di cui spesso non siamo responsabili.
Ma facciamo un passo indietro.
Cos’è il vuoto?
Da Parmenide al Sutra del cuore, dalla fisica alla meccanica quantistica fino ad arrivare a noi… centinaia di anni in cui si discute, si studia e ci sia arrovella intorno al concetto di vuoto: il vuoto esiste, il vuoto non esiste, cos’è il vuoto?
In effetti è la domanda ad essere sbagliata, poiché per il nostro sentire il vuoto non è un concetto ma è un sentimento, una sensazione, una vibrazione che può essere generatrice o mortifera.
Potremmo invece chiederci che significato ha per noi questo vuoto? Cosa ci vogliamo fare con esso?
Ed è a questo punto che risulta obbligatoria una distinzione tra il vuoto creativo ed il vuoto interiore.
Il vuoto interiore
Il vuoto interiore è uno spazio che contiene dolore, che penetra nella nostra anima e costella le nostre giornate. Ci sentiamo spenti, nulla ci piace, e non c’è nulla in grado di tirarci su. È difficile uscirne, anche perché ci assale un senso di angoscia, spesso senza oggetto (di cui si ignorano le cause).
In inglese Emptyness, in campo psicologico fa riferimento a molteplici vissuti emotivi ai quali si tende ad associare una connotazione negativa (Fogarty, 1973).
“provo un senso di isolamento, ho solo il mio lavoro… null’altro nella mia vita che abbia un senso”
Molte persone dicono o spesso, peggio, non dicono… “ho la sensazione che manchi qualcosa, che qualcosa sia perduto”, “tutto ciò in cui credevo sembra non avere più senso… metto in discussone tutto”, “quale è il senso di questo continuo combattere?”, “non ne vale la pena”.
Spesso il senso di fallimento e di inutilità, di inadeguatezza ci porta a sentire un vuoto incolmabile che ci fa esprimere con “tutto quello che faccio è provare e fallire”, “ho un senso terribile di inadeguatezza”;
“mi sento annoiato”, “mi sento come se stessi morendo”, “ho la sensazione che sto diventando vecchio e sto perdendo tempo”
Questi pensieri, il dolore che si porta dietro questo senso di vuoto ci ostacola, rallenta e impedisce il fiorire delle nostre esistenze. Le cause possono essere molteplici e spesso può essere utile far ricorso ad un sostegno o semplicemente fermarci per il tempo necessario che dobbiamo dedicare a noi stessi e chiederci se davvero questo vuoto è così mortifero, oppure…
Osserviamo meglio: potrebbe essere una opportunità? Certo non è semplice vederla così, e d’altronde non è semplice amarsi, ma è qui che vorrei introdurre quello che si chiama vuoto creativo.
Il vuoto creativo
“tutto è vuoto, una volta compreso interiormente questo punto, si è finalmente liberi, andando oltre l’illusione”
Con queste parole filosofi antichi svelano il mistero del vuoto creatore di armonia… di bellezza e di libertà dall’illusione di poter e dover controllare e gestire e trovare soluzioni per tutto. Il vuoto ci libera dalla responsabilità che i nostri genitori, e i nostri avi prima di loro, ci hanno addossato sulle spalle.
Pensiamo ad un campo d’autunno, tutto libero dove un puledro che si affaccia alla vita si trova ad osservare l’alba di un nuovo giorno. Ve lo immaginate? La mamma lo guarda da poco più in là e lui sente un po’ di paura. Guarda nuovamente la madre che, sufficientemente buona (Winnicott), lo incoraggia amorevolmente a prendere il largo e correre libero in quel vuoto che gli consente il movimento. Ma può pure avere paura e rifugiarsi, per riposare: il vuoto, lo spazio, il silenzio attendono il momento propizio per poterci accogliere e far esprimere la nostra voce interiore.
Finché si è dei piccolini, si può attendere che quel genitore ci rassicuri, poi diventiamo grandi e quel genitore dobbiamo diventare noi: genitori di noi stessi!
Maria Montessori, tra i vari lumi di saggezza, ci insegna che nel processo evolutivo si costruiscono quelle che sono le nostre radici emotive, affettive; e vari studiosi con lei (Winnicott, Klein, Bowlby) ci illustrano come dalla relazione primaria coi nostri genitori si possono creare degli stili di attaccamento, dei modi personali di sentirsi legati agli affetti, di stabilire e gestire le relazioni più o meno funzionali e soddisfacenti. Ed ecco che la nostra radice emotiva, se il nostro stile di attaccamento non è armonico, non è sufficientemente sicuro, può succedere che si crei quel vuoto interiore e può succedere che a volte sia così doloroso che si tenti di riempirlo con qualsiasi cosa di esterno a noi pur di non sentire quel senso di smarrimento. Purtroppo, non funziona e, nel “migliore” dei casi ci rende dipendenti da qualcosa che è estraneo, sul quale non abbiamo nessun potere decisionale, e che finisce per controllare le nostre vite ed il nostro benessere.
Ed ecco che quel vuoto deve essere colto come uno spazio in cui ogni guerriero stremato dalla battaglia deve cercare riposo, rigenerarsi e lasciar fluire la parte più sana di sé che gli permetterà di ripartire, rigenerato da nuovo ossigeno
Che stavolta viene da dentro!
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