La Psicologia dell’Attaccamento
Cosa significa Attaccamento?
Col termine attaccamento si intende il legame creato tra due individui della stessa specie sin dalla nascita al fine di soddisfare bisogni di protezione ed accudimento. I comportamenti di attaccamento sono quelli volti a garantirsi la vicinanza della figura affettiva di riferimento. Per sistema di attaccamento ci si riferisce ad un sistema dinamico di atteggiamenti e comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico tra due persone: un vincolo, le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano fra bambino e adulto.
Quindi possiamo riassumere e semplificare dicendo che il legame unico che si crea tra l’individuo alla sua origine e la principale figura di riferimento (caregiver in inglese) cioè colui/ei che principalmente se ne occupa, si chiama Attaccamento e si basa sul soddisfacimento più o meno adeguato dei bisogni di vicinanza, calore umano e protezione.
Cosa dice la Psicologia dell’Attaccamento?
In psicologia, il termine attaccamento è legato alle ricerche sullo sviluppo e sull’infanzia, in relazione ai legami che si creano con le figure di accudimento.
Già le teorizzazioni di Freud in materia rilevavano l’importanza della relazione del bambino con la madre: attaccamento, che Freud spiegava col concetto di pulsione e di soddisfacimento del bisogno pulsionale. Spiegazione sulla quale John Bowlby, un ricercatore britannico originariamente di formazione psicoanalitica, fonda la sua sostanziale critica e dalla quale si distanzia notevolmente. Egli, infatti, contribuisce alla crescita di un nuovo paradigma ‘relazionale’ del rapporto madre-bambino.
Gli studi e le teorie dell’attaccamento nascono da assunti evoluzionistici ed etologici: “il funzionamento mentale dell’individuo è basato su sistemi interpersonali (comuni agli animali più evoluti) che sono attività mentali complesse, e che organizzano i comportamenti diretti ad uno scopo: i sistemi motivazionali sono fondati su tendenze innate e regolano comportamento ed emozioni in vista di specifiche mete” (Verardo, 2016).
L’approccio evoluzionista sulla formazione dei sistemi motivazionali ci dice che essi si siano formati nel corso dell’evoluzione seguendo una gerarchia che vede comparire per primi quelli che organizzano e regolano la condotta degli organismi nei confronti dell’ambiente non sociale (sistemi motivazionali di livello base). Il livello successivo è costituito dai sistemi psicobiologici che regolano l’interazione sociale, caratteristica degli uccelli e, in particolare, dei mammiferi. Nel terzo livello, evoluzionisticamente più recente, troviamo le strutture ed i processi che, a partire dall’evoluzione biologica, hanno dato avvio all’evoluzione culturale, alla condivisione dell’esperienza (intersoggettività) ed alla conoscenza. Questa visione gerarchica è stata riassunta da MacLean (1984,1985) nella teoria del cervello trino: i tre livelli dei sistemi motivazionali sarebbero associati rispettivamente al cervello rettiliano, antico-mammifero (limbico) e neocorticale. Questa teoria oggi risulta controversa poiché, a parere di chi scrive, viene strumentalmente interpretata in maniera rigida e inesatta.
Il livello che interessa il nostro costrutto è il primo livello dei sistemi motivazionali. Gli studi etologici hanno permesso di osservare alcune invarianti universali: la richiesta di cura (il sistema dell’attaccamento) attivata in condizioni di vulnerabilità percepita; l’offerta di cura (sistema dell’accudimento) complementare alla richiesta di cura.
La Teoria dell’Attaccamento di J.Bowlby
J.Bowlby, partendo da questi assunti e ispirandosi a lavori etologici, in particolare della scuola di Harlow sui primati e degli studi etologici di Lorenz, dai quali mutua i concetti di imprinting (gli anatroccoli di Lorenz) e il bisogno di calore (le scimmie Rhesus di Harlow), arriva a formulare la sua ormai famosa teoria dell’Attaccamento: “Per comportamento di attaccamento si intende qualsiasi forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un’altra, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in maniera adeguata.
Questo comportamento diventa evidente ogni volta che la persona è spaventata, affaticata o ammalata, e si attenua quando si ricevono conforto o cure” (Bowlby 1988). […] Il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano “dalla culla alla tomba”. L’attaccamento rappresenta, infatti, il legame che si istaura, fin dalla nascita, tra il bambino e chi si prende cura di lui e che si mantiene per tutto l’arco della vita, fino per l’appunto alla “tomba”. In particolare il bambino, dal primo anno di vita, inizia a manifestare una serie di comportamenti, sia di segnalazione (pianto, sorrisi e vocalizzazione) che di avvicinamento (gattonare, aggrapparsi al genitore), al fine di raggiungere il caregiver e stargli, così, vicino; è possibile affermare quindi che il bambino possieda una “Propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza o malattia. (Bowlby,1969), per dirla con le parole di Bowlby. E quindi riconosciamo nella condizione del bambino una maggiore vulnerabilità e bisogno dell’adulto.
La costituzione nella prima infanzia, di un attaccamento sano e di una fiducia di base, dipende dalla presenza, disponibilità e dalla capacità di risposta dei genitori o di altri significativi, ai segnali ed ai bisogni del bambino. A seconda del tipo di accudimento ricevuto e delle esperienze apprese sulla relazione col caregiver, il bambino andrà a formarsi una rappresentazione di sé come meritevole o meno d’amore, di attenzione, una rappresentazione della relazione e del mondo come attendibile, sicura, oppure una realtà del mondo esterno assolutamente da evitare in quanto non accudente, non funzionale per la propria sopravvivenza o pericolosa: questi sono quelli che Bowlby chiama Modelli Operativi Interni, mutuando il termine da Craik (1943) che lo utilizzo per descrivere quelle strutture mentali che permettono di pianificare, prendere decisioni ed interpretare, permettendo in questo modo di anticipare situazioni future e di reagire nella maniera più adeguata.
Secondo Bowlby, l’attaccamento avviene in 5 fasi:
0-3 mesi, pre-attaccamento: il bambino, pur riconoscendo la figura umana quando compare nel suo campo visivo, non discrimina e non riconosce specificamente le persone;
3-6 mesi, attaccamento in formazione: inizia la formazione di un legame; il bambino discrimina le figure e ne riconosce una in particolare (quella che lo cura, lo coccola, lo nutre), inoltre nell’80% dei bambini subentra una reazione di paura nei contatti con gli estranei;
7-8 mesi, angoscia: non avendo ancora sviluppato il concetto di “permanenza dell’oggetto”, la lontananza dalla figura allevante provoca angoscia nel bambino perché ha paura che il “caregiver” non ritorni;
8-24 mesi, fase di attaccamento vero e proprio;
dai 3 anni in poi, formazione di legami: la figura allevante viene riconosciuta dal bambino che, oltre ad identificarne le caratteristiche fisiche, diviene consapevoledel suo provaresentimenti, emozioni, sensazioni. In base alle risposte che i genitori daranno al bambino, si produrranno in seguito diverse tipologie di legame.
Il contributo di Mary Ainswort sugli stili di Attaccamento: la Strange Situation
Mary Ainsworth, una collaboratrice di Bowlby, elaborò una situazione sperimentale per determinare il tipo di attaccamento tra caregiver e figlio. La situazione, denominata “strange situation”, era suddivisa in otto episodi, ciascuno della durata di tre minuti, dove il bambino veniva sottoposto a situazioni potenzialmente generatrici di “stress relazionale” come la presenza, allontanamento e ritorno del genitore e la presenza di un estraneo. In seguito ad esperimenti condotti con la Strange Situation la Ainsworth identificò tre tipi di modelli di relazione tra madre e bambino:
Modello B, sicuro: il bambino si mostra sicuro nell’esplorare l’ambiente esterno poiché sente di poter fare affidamento sui genitori (base sicura) in caso di bisogno. La separazione dalla madre (temporanea e limitata nel tempo) è un evento gestibile per il bambino in un contesto di sviluppo adeguato.
Modello A: Insicuro-Evitante: il bambino si mostra indifferente alla presenza del caregiver. Questo modello è caratteristico di quelle relazioni in cui il caregiver si mostra poco sintonico, rigido è/o intrusivo (ad esempio spingendolo eccessivamente all’autonomia). Il bambino ha imparato inconsapevolmente che esprimere i propri sentiment e protestare allontana il caregiver e comunque non puo fare affidamento su di lui, quindi non ci prova nemmeno.
Modello C: “insicuro- ambivalente o resistente“: il bambino ha comportamenti contraddittori nei confronti del caregiver. È questo il caso in cui il caregiver risponde alle richieste del bambino in maniera sporadica, imprevedibile ed incoerente. Il bambino tenderà ad enfatizzare i sentimenti negativi per tenere sempre alta l’attenzione del caregiver e tenendo sempre attivo il sistema di attaccamento. Resiste spesso ad essere consolato per tenere alta l’attivazione di attaccamento del caregiver.
In seguito, M. Main aggiunse il Modello D, disorientato e disorganizzato: il bambino mette in atto comportamenti estremamente conflittuali, che possono apparir fortemente disorganizzati o disorientati. Siamo di fronte a caregiver che lasciano prevalere in maniera prepotente le loro reazioni emotive rispetto a quelle del bambino e finiscono per essere allo stesso tempo fonte di desiderio e di forte paura. Quindi sistema di attaccamento e di difesa vengono contemporaneamente attivati mettendo in forte turbamento il bambino.
I primi modelli di attaccamento insicuri, nonostante costituiscano delle modalità relazionali disfunzionali e disadattive (secondo gli autori, il tema è oggi controverso), sono comunque caratterizzati da una modalità comportamentale coerente. Mentre il modello D è caratterizzato dall’assenza di una strategia organizzata e precisa per reagire all’attivazione del sistema di attaccamento.
Con la crescita, l’attaccamento si modifica e si estende ad altre figure, sia interne che esterne alla famiglia, fino a scomparire: nell’adolescenza e nella fase adulta il soggetto avrà maturato la capacità di separarsi dal caregiver primario e legarsi a nuove figure di attaccamento. “Una caratteristica fondamentale è il concetto di chi siano le figure di attaccamento, di dove le si possa trovare, e di come ci si può aspettare che reagiscano.
La critica posta al modello bowlbiano riguarda la centralità della dipendenza ‘etologica’ del bambino all’apporto della madre ‘base sicura’ che non consentirebbe, secondo alcuni autori, di valutare adeguatamente i modelli operativi insicuri e ‘disorganizzati’, che possono, invece, essere ritenuti estremamente competenti rispetto alle strategie esplorative adottate per fronteggiar le difficoltà relazionali. Seganti (1998), propone la sostituzione del termine ‘disorganizzazione’ con quello di ‘iper-organizzazione’ più idoneo a indicare la capacità di organizzare pattern coerenti con l’ambiente, in condizioni traumatiche.
Come lo stile di Attaccamento può complicare la vita?
Dalla teoria alla pratica: ambiti applicativi
L’importante mole di lavoro, in termini di studi (relativamente recenti) e di ricerca empirica, ha portato il costrutto e le teorie in merito, a divenire un pilastro nei vari ambiti applicativi.
In ambito clinico, psicopatologico e dello sviluppo infantile potremmo sostenere che potenzialmente, deprivazioni o stili di accudimento disfunzionali possono portare all’insorgenza di molteplici disturbi psicopatologici, a seconda della gravità e della durata del comportamento disfunzionale.
Partendo dai disturbi del neurosviluppo possiamo affermare che gravi condizioni di trascuratezza ed esperienze traumatiche, avvenute fin dai primi mesi di vita, possono far insorgere il Disturbo Reattivo dell’Attaccamento (RAD Reactive Attachment Disorder) o il Disturbo da Impegno Sociale Disinibito (DSED Disinhibited Social Engagement Disorder). Anche nel Disturbo d’ansia da separazione si può individuare una problematica nella relazione di attaccamento.
Per quanto riguarda la psicopatologia adulta il legame tra attaccamento e trauma ottiene, sempre più spesso, evidenze empiriche. Riconosciuti dalla comunità internazionale i Disturbi dissociativi, il disturbo post traumatico da stress, alcuni disturbi del comportamento alimentare, disturbo borderline di personalità, anche altri possono fondare le loro radici da forme di attaccamento traumatico.
Sono state trovate correlazioni importanti tra lo stile di attaccamento disfunzionale e lo sviluppo di patologie o sintomatologie depressive, ansiose, di disregolazione emotiva e relazionale e con i disturbi da dipendenze.
Attaccamento insicuro=psicopatologia? NO
Non sempre l’aver sviluppato stili di attaccamento insicuri porta a disturbi psichiatrici riconosciuti. A volte, però, può sfociare in scelte relazionali disfunzionali, quindi in ambito clinico molti interventi sono indirizzati al trattamento della relazione di attaccamento nelle coppie ed in ambiti familiari. In questi ultimi vengono spesso messi a punto mirati interventi di sostegno alla genitorialità, per aiutare le famiglie (in via preventiva oppure interventista come nel caso delle famiglie a medio e alto rischio) nei loro compiti educativi e psicologici.
In linea con gli intenti dell’ideatore della teoria dell’attaccamento (coniugare teoria, ricerca e applicazione) recenti orientamenti in ambito neuroscientifico danno conferme su come il substrato strutturale e fisiologico (Ammaniti e Gallese, 2014) del nostro SN sistema nervoso sostenga quelli che sono i cardini della Teoria dell’attaccamento.
(per approfondimenti: “la teoria dell’intersoggetività” di Ammaniti e Gallese, 2014)
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